La guerra dell’imperialismo americano contro l’Iraq ferirà od ucciderà direttamente secondo valutazioni ONU oltre 500.000 persone, 3 milioni di irakeni saranno trasformati in profughi e 10 milioni saranno tagliati fuori da ogni approvvigionamento alimentare. Assassinio di massa, distruzione di fauna e ambiente, i costi miliardari della guerra – tutto ciò viene giustificato con il non calcolabile ‘pericolo’ rappresentato da Saddam Hussein. Le motivazioni al riguardo sono veramente misere oppure goffe bugie propagandistiche. L’Iraq non possiede praticamente più – come ha già constatato il rapporto dei commissari ONU nel giugno del 2002 – armi di distruzione di massa: l’Irak è già da anni qualitativamente disarmato, l’esercito non possiede quasi più moderni sistemi d’arma, le infrastrutture sono ampiamente distrutte e l’economia dissanguata. Non si è stati neanche in grado di dimostrare legami tra Al- Quaida e l’Iraq.
I veri obiettivi della guerra sono altri. Da un lato esistono sotto il suolo irakeno l’11% dei giacimenti petroliferi a livello mondiale, che tra l’altro sono estraibili in maniera particolarmente facile e a basso prezzo. Il controllo di questa strategicamente importantissima materia prima non servirebbe soltanto immediatamente agli interessi del capitale americano, ma allenterebbe anche la dipendenza dell’economia statunitense dal petrolio dell’Arabia Saudita, così come indebolirebbe la forza dell’OPEC. Dall’altro lato l’Iraq si trova al centro di una regione che possiede il 60% delle riserve mondiali di petrolio. La guerra all’Iraq – così come prima è successo per la guerra contro l’Afghanistan – rappresenta una possibilità per lo stazionamento di consistenti contingenti di truppe imperialiste e la istallazione di un regime fantoccio fedele agli Stati Uniti. I costi della guerra vengono scaricati sulla propria popolazione, la crescita del bilancio militare – evidentemente tramite le imposte – ammonta soltanto per l’anno scorso a 48 miliardi di dollari (e continua ad essere aumentato), mentre la repressione della classe operaia e delle sue organizzazioni negli USA può essere condotta più facilmente e anche fatta passare grazie alla situazione di guerra e alla legislazione speciale legata alla stessa. Inoltre con questa guerra viene anche confermato e portato avanti il “nuovo ordine mondiale” dell’imperialismo americano: gli Stati Uniti possono colpire dappertutto “preventivamente” per perseguire i propri interessi. La pseudo-democratica ONU viene in tutto ciò disturbata soltanto se è garantito il suo consenso secondo il motto “se è possibile con l’ONU, altrimenti anche senza”.
Le tensioni tra l’asse franco-tedesco e gli Stati Uniti non sono parimenti da attribuire a un’ideologia pacifista-umanitaria della “vecchia Europa”, ma al contrario alla doppia debolezza del più importante concorrente dell’America: in primo luogo alla debolezza militare del blocco europeo, altrimenti questo si darebbe da fare molto di più tramite la forza militare per la salvaguardia dei propri interessi. Una vittoria degli Stati Uniti peggiorerebbe la posizione del blocco europeo sul mercato mondiale, perché allo stesso è più difficile che agli USA assicurarsi l’accesso all’importante petrolio: dunque gli rimane solo la possibilità della protesta politica.
In secondo luogo è più fortemente dipendente dal petrolio del Medio Oriente che gli Stati Uniti, che non solo possiedono consistenti giacimenti petroliferi propri, ma che dispongono anche di fornitori alternativi. Un aumento del prezzo del petrolio collegato alla guerra all’Iraq colpisce dunque il capitale europeo di più di quello statunitense proprio in una cattiva situazione economica. Inoltre le probabili ondate di profughi dall’Iraq colpiranno in prima linea l’Europa e non gli USA. La tradizionalmente stretta coalizione tra GB e Stati Uniti è da ascrivere da un lato a interessi intersecantisi nella regione e dall’altro persegue lo scopo di divisione e di indebolimento del costituentesi blocco europeo.
Una vittoria dell’imperialismo americano condurrebbe a un’estensione dell’egemonia globale del capitale americano, la qual cosa avrebbe per conseguenza ulteriori attacchi alle masse immiserite dei paesi semicoloniali e alla classe operaia nella metropoli. Con le casse di guerra piene si potrebbero sopportare più facilmente anche scioperi in casa propria e letteralmente “andare all’attacco” dei successivi obiettivi del capitale statunitense: dopo l’Afghanistan e l’Iraq potrebbero stare sulla lista di abbattimento l’Iran, il Sudan, lo Jemen, la Somalia, la Siria, la Libia, il Caucaso o la Corea del Nord. Per questo l’incombente guerra all’Iraq possiede un valore centrale per la sinistra e per la classe operaia.
Con dimostrazioni di massa nelle metropoli imperialistiche e nelle semicolonie si fa crescere il prezzo politico per la guerra. Le più efficaci sono a dir il vero forme di azione che colpiscono il capitale laddove fa più male: sospensioni del lavoro limitano e rendono direttamente impossibile la preparazione e la realizzazione della guerra, d’altro lato colpiscono direttamente le fonti del profitto dei guerrafondai. Naturalmente come marxisti siamo per il rovesciamento rivoluzionario del regime Baath, ma per opera del movimento operaio irakeno e non attraverso l’imperialismo. Perché una guerra all’Iraq “coronata da successo” significa soltanto un rafforzamento dell’imperialismo statunitense, miseria accresciuta e sfruttamento nelle semicolonie e attacchi ancora più forti alla propria popolazione.
Perciò: via all’embargo! Fermiamo la guerra contro l’Iraq! Nessun sostegno tedesco e austriaco alla guerra! Nessun diritto di sorvolo per gli aerei americani! Per la sconfitta dell’imperialismo statunitense e dei suoi manutengoli! Lotta di classe proletaria contro la guerra imperialista! Dare al movimento contro la guerra una prospettiva anticapitalistica!
traduzione: rdb (lotta comunista)